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Immagine del redattoreRenzo Rucci

Limitatore di corrente con autoreset

Un semplice limitatore di corrente si trasforma in un interruttore di corrente con funzione di autoreset, il tutto con pochi semplici componenti aggiuntivi.

Molti di voi avranno dimestichezza con il circuito con funzione di limitatore di corrente presentato in figura 1. In questo circuito la corrente fornita al carico IL è limitata al valore IL=VBE/RS dove VBE è la tensione tra base e emettitore e RS è la resistenza di sensing. In condizioni normali, nelle quali la tensione tra base e emettitore è troppo piccola per portare Q1 alla conduzione, la resistenza di gate RG del mosfet Q2 a canale P, porta quest’ultimo alla conduzione. Solamente la resistenza del carico RL e la tensione al carico determinano la corrente fornita. Se la corrente al carico cresce fino al punto tale da raggiungere la soglia di circa 0.7V, Q1 entra in conduzione e riduce la tensione tra gate e source di Q2 ad un livello tale da rendere la corrente al carico pressoché costante ad un valore calcolabile come:


ILMAX=0.7V/RS


Questo circuito lavora egregiamente come limitatore di corrente se la massima corrente al carico, la tensione di alimentazione o entrambe sono di valore non elevato. La potenza che il pass transistor Q2 può dissipare limita le applicazioni di tale circuito. Se per esempio la massima corrente di carico fossero 200mA e la tensione di alimentazione VS fosse 24V, un corto circuito sul carico dissiperebbe 5W su Q2. Il mosfet dovrebbe gestire tale potenza con un adeguato margine, inoltre un dissipatore sarebbe necessario per non portare la temperatura di giunzione ad un livello non sicuro. Utilizzando valori elevati per la massima corrente di carico o per la tensione di alimentazione, questi problemi si incrementano. In molte applicazioni il costo, le dimensioni e il peso dei componenti necessari per gestire la dissipazione di potenza in seguito ad un corto circuito diventano proibitivi.



Figura 1: Classico limitatore di corrente con due transistor.

Tuttavia, solamente aggiungendo alcuni semplici ed economici componenti, si può adattare il circuito per realizzare un efficiente limitazione di corrente senza problemi per la dissipazione di potenza. Il circuito risultante risulta un interruttore di corrente con auto reset, visibile in figura 2.



Figura 2: Aggiungendo pochi componenti il limitatore di corrente si trasforma in generatore di impulsi che riduce il calore per il pass transistor Q2.

Come per lo schema precedente Q1 e RS lavorano come monitor di corrente, in cui la tensione di sense è VSENSE=IL*Rs. Q2 invece o è completamente acceso o completamente spento ma mai nella regione lineare di funzionamento. La corrente di base di Q1 è normalmente bassa, la caduta di tensione sul resistore RB è anch’essa piccola, tanto che la tensione tra base e emettitore si può ritenere uguale alla tensione di sensing.

Per comprendere coma lavora il circuito basta considerare che la corrente sul carico sia inizialmente bassa e la tensione base-emettitore sia meno di 0.7V. In queste condizioni Q1 è spento e il condensatore C1 usato come timer rimane scarico finche la VIN, la tensione all’ingresso all’invertitore IC1, è 0V. In questo modo l’uscita di IC1, all’incirca 5V, porta Q3 in conduzione che così attraverso R4 permette alla corrente di fluire dall’alimentazione al carico passando attraverso il resistore di sensing e la resistenza di canale di Q2.

Se un guasto causa l’incremento di corrente ad un livello tale per cui la tensione base-emettitore supera 0.7V, Q1 passa in conduzione e attraverso il suo collettore C1 viene caricato. La tensione d’ingresso sale rapidamente fino alla soglia superiore del trigger di Schmitt dell’invertitore ( VTU ). A questo punto l’uscita di IC1 passa al valore basso spegnendo Q3 e Q2. La corrente al carico scende a 0A, così come la tensione base-emettitore e Q1 ritorna nuovamente in interdizione. Il condensatore C1 inizia la sua scarica attraverso R1 e R2, la tensione d’ingresso dell’invertitore lentamente scende alla soglia inferiore di commutazione ( VTL ). L’uscita di IC1 a questo punto ritorna nuovamente al livello alto, Q3 e Q2 ritornano on e il circuito così si auto resetta autonomamente. Il processo si ripete fino alla rimozione del guasto.


Figura 3: Forme d’onda della tensione d’ingresso e della tensione al carico.

Le forme d’onda del circuito sono visibili in figura 3 e mettono in relazione la tensione d’ingresso e la tensione al carico. Poiché la corrente al carico scorre per Q2 solamente durante le fasi in cui questo è on, la potenza media da dissipare è proporzionale al duty cycle:

PAVG = tON/(tON+tOFF)

A condizione che C1, R1 e R2 impongano una costante di tempo sufficientemente ampia, il tempo di off sarà molto superiore al tempo di on, con una conseguente potenza da dissipare per Q2 bassa. Come per il limitatore di corrente di figura 1 il resistore di sensing fissa la soglia di intervento dell’interruttore di corrente a:

ILMAX=0.7V/RS

Le resistenze R1 e R2 formano un partitore che garantisce che la tensione d’ingresso non eccede la massima tensione tollerabile per gli ingressi di IC1. I valori sono da scegliere tali che la tensione di ingresso sia inferiore a 5V quando Q1 diventa on. La tensione di C1 si può considerare pari alla tensione di alimentazione.

I valori delle resistenze vanno scelti anche in modo da garantire una costante di tempo elevata senza esagerare con il valore di C1. La scelta del transistor Q1 non è critica, ma un dispositivo con buon guadagno di corrente è da preferire. Necessario anche verificare che la massima tensione collettore-emettitore sia superiore alla tensione di alimentazione. Per la scelta di Q2 è importante ricordare che deve resistere alla tensione di alimentazione quando è spento, inoltre la massima tensione tra drain e source dovrà essere superiore alla tensione di alimentazione. Quando si sceglie un valore per la resistenza di sensing è importante verificare che la tensione base-emettitore di Q1 sia inferiore a 0,5V al valore massimo nominale della corrente di carico.

Carichi come lampadine ad incandescenza, carichi capacitivi e carichi induttivi come motori con un elevata corrente di spunto possono causare al circuito delle false partenze in fase di power-up. Questi problemi possono essere evitati aggiungendo la capacità Cx, il diodo Dx e la resistenza Rx. All’avvio Cx è inizialmente scarico e porta la tensione d’ingresso a 0V attraverso Dx. Questo impedisce al circuito di bloccarsi fintanto che la corrente di spunto si esaurisce. Cx e Rx determinano un ritardo, dopo il quale la tensione di Cx eventualmente sale alla tensione di alimentazione, Dx viene polarizzato in inversa, e l’interruttore di corrente diventa pronto a rispondere alle sovracorrenti sul carico. La scelta di Cx e Rx deve essere cablata sull’applicazione specifica per ottenere il ritardo desiderato. Valori di 10uF e di 1Mohm, sono un buon punto di partenza.

A questo punto una osservazione sorge spontanea: questo circuito si comporta in maniera molto simile ad un fusibile. L’osservazione è quanto mai azzeccata, infatti un circuito come quello presentato in figura 2 viene comunemente chiamato “circuit breaker”. In ambito elettronico ci sono progettisti che amano usare i fusibili, altri che preferiscono i circuit breakers, vediamo quali sono le differenze.

I fusibili e i cosiddetti circuit breakers sono due alternative per proteggersi contro i sovraccarichi di corrente, quando troppa potenza arriva al carico si vengono a creare situazioni pericolose, con il rischio di bruciare la scheda. Sia i fusibili che i circuit breakers hanno lo stesso compito, intervenire contro i sovraccarichi di corrente quando questi persistono oltre un determinato intervallo di tempo. Nonostante però abbiano lo stesso compito, il modo con cui interrompono il flusso elettrico e nettamente differente.

I fusibili sono sicuramente lo strumento più datato, al loro interno vi è un conduttore metallico attraverso il quale scorre la corrente. In situazioni normali di corrente il fusibile rimane inalterato, quando la corrente supera il limite, il metallo percorso da corrente si scioglie e il flusso di corrente si interrompe. Questo processo è irreversibile e dopo una rottura è necessario ripristinare il componente.

I circuit breakers sono una invenzione più recente e migliorano la tecnologia dei fusibili. Sono essenzialmente dei circuiti che monitorano la corrente verificando che non superi una determinata soglia. Nelle versioni per alte tensioni e alte potenze l’eccesso di corrente aziona un elettromagnete che interrompe il flusso di corrente al carico. La situazione permane in uno stato di interruzione finche non sopraggiunge un reset (manuale o elettronico). Ovviamente per basse tensioni rimane il concetto di funzionamento del circuito, pur interrompendo il flusso di corrente per un eccesso di potenza, il circuito dopo un reset è in grado di ripristinare la sua funzionalità, al contrario del fusibile che deve essere sostituito.

Ovviamente come si può dedurre i fusibili sono molto più economici rispetto ai circuit breakers, mentre questi ultimi per applicazioni di microelettronica sono molto più indicati perché non richiedono la sostituzione come per i fusibili.


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